
L’identità dell’italiano davanti allo tsunami anglicus
“Questo appunto è ciò di cui è capace, e non di perderla ed alterare il suo carattere per prenderne un altro forestiero, del che non fu e non è capace nessuna lingua senza corrompersi. E il pregio della lingua italiana consiste in ciò che la sua indole, senza perdersi, si può adattare a ogni sorta di stili.” Giacomo Leopardi
A suon di ..
Dove non c’è posto per i sentimenti
Ma vince la superiorità
Che poi superiorità sembra significare farsi guerra
Per appartenersi
Appartenersi a suon di bomba.
Per gli abitanti fortunati
Solo un bagaglio a mano
O una valigia vuota e la mano sul cuore
Lo sguardo verso il cielo
E una preghiera sulle labbra.
Ma quali uomini moderni?
Quali diplomazie e democrazie?
La guerra non conosce principi
Se non quello di distruggere
Distruggendo così il senso dell’essere ‘umani’.
Un’esistenza negata
A suon di carri armati e incendi e fiamme.
La mia revisione di “Norwegian Wood” di Haruki Murakami.
Un narrarsi interiore che rimane impassibile al mondo che lo circonda mentre scrive il suo romanzo lontano dal Giappone.. immerso nel clima europeo, prima greco e poi romano come se si trovasse alle origini delle lingue. Ma la lingua che Murakami parla e narra è quella di uno studente che cresce e si forma rimanendo incastrato nell’ingenuità di un bambino che non vuol far del male a nessuno e quindi accetta schiaffi morali, schiaffi economici, sfide amorose e ancor meglio desideri sessuali e irrefrenabili come irrefrenabile era la crescita nel Giappone degli anni ‘60 agli occhi degli studenti e delle classi sociali medie che ancora non riuscivano a stare nel mezzo…troppo ricche o troppo povere. Nelle pagine a cui da vita a Watanabe Toru e ai personaggi costruiti intorno a lui, Murakami ci trascina in un mondo a dir poco psicologicamente profondo. La fragile e bellissima Naoko con il dolore psichico e una malattia psichica che la portano al suicidio perché incapace di ritrovarsi al ritmo di quel mondo nuovo che nei suoi occhi era vuoto ma pieno di voci nella sua testa. Contrariamente accade agli occhi di Midori, l’estroversa ragazza dal nome che significa colore verde (forse vestita di speranza) che farà innamorare il nostro studente Watanabe 20enne. Il mondo agli occhi di Midori era troppo bello per essere vissuto standosene in silenzio e solo subendolo in silenzio, così lo descrive con superba intelligenza e voglia di manovrare quel minimo di quotidiano e monotono che poteva a suo tempo verificarsi. Sarà Midori a estrarre il nostro Watanabe dalla sua routine e persino dai suoi schemi, la ragazza vestita di verde speranza. E da qui possiamo notare in Murakami una influenza di cultura europea o italiana, dato che scrive questo libro proprio durante i suoi viaggi in Europa (tra Grecia, Germania e Roma)

Translation — White Pine Communications
Viaggio a La Coruna

La forza dell’oceano
Racconto …
Un racconto breve scritto per descrivere la mia esperienza di studio all’estero. Vi porto con me nella bellissima capitale spagnola, Madrid.
“Il mio secondo viaggio”
Ho 30 anni. Sto facendo il secondo viaggio della mia vita. Si, è proprio così. Vi starete chiedendo: “Non hai mai viaggiato prima?”, mi spiego meglio.
Il mio primo viaggio fu a 15 anni quando lasciai l’Albania per trasferirmi in Italia. Fu un cambiamento radicale, non solo linguistico. Nel mio secondo viaggio vado alla ricerca di qualcosa di diverso. E’ vero che viaggiare significa cambiare lo sguardo verso il mondo, guardare oltre per costruire nuove prospettive e non solo per trovare la prospettiva giusta per scattare una foto alla città e condividerla su Instagram. Io nel mio viaggio mi sono ritrovata a cercare “l’altro da me”, che onestamente un pochino mi spaventava.
Sono a Madrid, nelle lunghe vie ornate dagli edifici bianchi, freddi e forse anche un po’ melancolici. Non conosco nessuno e nonostante tutto, ogni angolo della città sembra volere richiamare la mia attenzione, come per dire “a Madrid non sei mai sola”. Calle Gran Vía e Fuencarral, invase da fiumi di persone con la mascherina, riempiono la città di sussurri dal francese, inglese, italiano, e chi più ne ha più ne metta. Ma dopo una settimana, mi chiedo dove sto andando. Non faccio altro che perdermi. A questo punto mi fermo e quel silbato del semaforo che segnalava il verde per i pedoni iniziava a segnalare anche la mia direzione. Non mi prolungo a spiegarvi quanto è stato difficile trovare un piso para compartir ma vi porto con me a Pueblo Nuevo, il quartiere di Madrid dove vivrò per due mesi. Il mio limbo in città inizia a piacermi; pensare in italiano e albanese, comunicare in spagnolo con la coinquilina e i nuovi amici per poi seguire le lezioni di inglese all’accademia di Malasaña.
Dopo un mese trascorso in questo meraviglioso contrasto linguistico, le mie giornate tra Pueblo Nuevo e Madrid si colorano, e non solo per via delle luminarie natalizie. Mi sono ‘svegliata’ accogliendo i sussurri più lontani della città, impaurita, mi sono vista riflessa tra i palazzi bianchi e freddi come la neve a dicembre ma allo stesso tempo mi sembravano accoglienti, come fossero le mura di casa. E adesso, nel cielo ora splendente ora nuvoloso, nelle strade poliglotte della città, sto riscoprendo la passione per le lingue che pare sgorgare nelle mie vene da sempre.
Quel che sarà dopo il mio ritorno in Italia per le feste di fine anno non lo so, ma ringrazio di essermi persa per le vie della città quando internet e Google Maps non funzionavano, perché solo così ho ritrovato me stessa, confrontando le paure del mio secondo viaggio alla ricerca de “l’altro da me”. I fianchi ondeggianti e i sussurri stranieri della signora Madrid mi hanno fatto sognare e contemporaneamente riflettere sulla mia identità. Ho scoperto che “l’altro da me” che cercavo non era altrove ma dentro di me. Ho scoperto che effettivamente un’altra città può aiutarti a ritrovare te stessa, a patto che tu sia pronta a permetterlo a te stessa. E io lo sono.
